Onorevoli Deputati! - Il lavoro come valore fondamentale già posto a base della Repubblica nella Costituzione del 1948, diritto e dovere di ogni persona per concorrere al progresso materiale e spirituale della società, va inteso non solo come modalità per procurarsi i mezzi necessari ad una esistenza libera e dignitosa, ma essenzialmente come riconoscimento che proprio nel lavoro ciascuno riesce ad esprimere le potenzialità in lui racchiuse: pertanto esso non è un fine in se stesso né mero strumento di guadagno, ma strumento di affermazione della personalità del singolo uomo.
      Vanno certamente considerati gli aspetti di tutela della salute e di limitazione della fatica eccessiva, ma occorre anche nel contempo prestare attenzione alla garanzia di sviluppo delle capacità, del loro pieno impiego ed alla necessaria acquisizione di professionalità; solo in questo modo si garantisce l'effettività del diritto al lavoro, come adeguato alle attitudini e capacità del soggetto e idoneo a svilupparle, non limitandosi semplicemente al diritto all'occupazione.
      Se il lavoro è un valore, il non lavoro, da intendersi come il venire meno della prospettiva di un'attività adeguata alla persona, o addirittura di ogni tipo di lavoro, può essere visto come un pregiudizio per la dignità della persona e per il progresso materiale e spirituale della società. Si tratta pertanto di creare condizioni generali e particolari per una piena realizzazione della persona umana nel lavoro: non limitandosi a porre regole e vincoli alla costituzione e allo svolgimento del rapporto di lavoro, ma preoccupandosi di garantire una effettiva uguaglianza e libertà nel completamento della personalità,

 

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con possibilità di elevazione professionale e quindi di scelta tra diverse prospettive professionali.
      L'orizzonte dell'intervento normativo non può esaurirsi nella garanzia di un posto di lavoro, di una occupazione qualsiasi (condizione comunque preliminare), bensì deve concepire il lavoro come una esperienza corretta, non frustrante, né emarginante o priva di responsabilità per la persona. In quest'ottica «libertà di impresa» e «libertà personale del lavoratore nell'impresa» si misurano attraverso il confronto tra la flessibilità necessaria alla prima e il codice protettivo del lavoro indispensabile per la seconda, risolvendosi in un diverso assetto ed equilibrio dei vari interessi e profili di tutela. Cosicché l'impresa trova l'argomentazione centrale a difesa della propria libertà e flessibilità (seppure limitata dal rispetto della sicurezza, libertà e dignità umana) proprio nel riconoscimento di essere il luogo in cui si esercita il diritto al lavoro delle singole persone.
      Invece di destinare risorse ad impieghi in posti non direttamente produttivi, occorre pensare all'impresa come luogo di presenza ed impiego del fattore lavoro, sì da rendere centrale quest'ultimo e non più la semplice occupazione, favorendone lo sviluppo insieme a quello produttivo.
      Occorre dunque il pieno riconoscimento della centralità delle risorse umane come determinante per assicurare il mantenimento e lo sviluppo delle aziende e della società nel suo complesso; investimento sull'uomo con professionalità sempre più elevate in una società in cui la maggior parte dei servizi e di molte altre attività sono ormai personality intensive, nel senso che la qualità del prodotto dipende dalla qualità della prestazione lavorativa.
      Nel lavoro subordinato in azienda non si tratta più solo di riconoscimento del rispetto della persona e di suoi diritti rispetto all'organizzazione, ma del bisogno stesso da parte dell'organizzazione della libertà e dell'autonomia della persona. Persone più autonome e libere, creative, capaci di trovare soluzioni, cambiare i termini dei problemi, investire in una migliore conoscenza e capaci anche di rischio personale, cosicché la differenza fra lavoro autonomo, considerato oggi, soprattutto dai giovani, come «un di più» rispetto a quello dipendente per le caratteristiche di quest'ultimo di inferiorità o debolezza socio-economica e quindi alienante, tenderebbe a scomparire.
      Si deve eliminare il divario fra «rischio» e «sicurezza» quando quest'ultima tende ad essere rinuncia all'ideale di costruttività di sé e della realtà e finisce per identificarsi con la pretesa all'assistenzialismo.
      Flessibilizzare il lavoro subordinato ed evitare nel contempo di rendere più rigido quello autonomo, come avviene oggi nella legislazione sui lavori atipici, non significa rinuncia a certi diritti o a certe discipline, ma una maggiore libertà nella subordinazione, una valorizzazione della persona, l'individuazione di modelli di coinvolgimento e di partecipazione all'operatività e alla decisionalità dell'impresa: ciò corrisponderebbe di più a una manodopera più consapevole che così potrebbe tornare a vedere come creativo anche il lavoro manuale e dipendente.
      Tutto ciò implica:

          1) nuovi modelli di rappresentanza sindacale per una più diretta partecipazione dei lavoratori e cioè della persona alla definizione delle politiche del lavoro e all'approvazione degli esiti della contrattazione collettiva, conciliando la frammentazione degli interessi della base con il modello confederale;

          2) forme di maggiore liberalizzazione del mercato del lavoro, con meno vincoli, condizioni, requisiti selettivi per quanto riguarda il sistema di collocamento, visto come un sistema integrato fra pubblico e privato e il lavoro interinale. Semplificazione «a monte» del mercato del lavoro, per disincentivare il lavoro «nero» che diviene così non più conveniente per nessuno;

          3) premiare la qualità dell'impiego di lavoro, ristabilendo condizioni di competitività

 

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abbinate a questo fattore, alle forme di utilizzo e valorizzazione del lavoro delle persone all'interno delle organizzazioni;

          4) semplificazione e innovazione della formazione professionale. Sostegno non organizzato in modo rigido e indifferenziato, salvaguardia della specificità e autonomia della formazione; definizione del mercato formativo e dell'accreditamento e qualificazione degli attori; formazione come supporto ad un cammino di sviluppo del sistema sociale; raccordo con le politiche del lavoro;

          5) previdenza sociale. Un sistema di intervento coordinato in modo da garantire a chi gode di una minima capacità contributiva di auto-organizzarsi solidalmente, concorso dello Stato per integrare l'insufficienza dei mezzi, previdenza privata come solidarietà libera, anche nella forma, con l'eliminazione dell'eccesso di vigilanza e controlli sui fondi pensione.

      Tutto questo spinge a presentare una proposta di legge che detti delle norme per la disciplina di un sistema integrato pubblico-privato di servizi per l'impiego.
      Nell'articolo 1 della proposta di legge vengono illustrati i criteri e i princìpi generali della legge, riaffermando le competenze in materia conferite alle regioni e alle province dalla legge n. 59 del 1997 e dal decreto legislativo n. 469 del 1997, e stabilendo i criteri per individuare i soggetti pubblici e quelli privati.
      La funzione certificativa e di accreditamento dello status di disoccupato o inoccupato, così come stabilito dall'articolo 2, spetta ai soggetti pubblici.
      L'articolo 3 definisce le competenze dei soggetti privati per l'impiego, mentre l'articolo 4 stabilisce i requisiti necessari affinché il soggetto privato possa ottenere l'autorizzazione a svolgere l'attività di servizio per l'impiego.
      L'articolo 5 stabilisce l'assoluta gratuità dei servizi offerti ai prestatori di lavoro, fatta eccezione per la formazione professionale.
      L'articolo 6 prevede l'istituzione in ogni regione o provincia di un servizio informatico al quale possono accedere tutti i soggetti operanti nel sistema integrato. A questo proposito il Governo, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, emana un atto di indirizzo che determina gli standard tecnici per garantire la comunicazione delle informazioni su tutto il territorio nazionale.
      L'articolo 7 abroga tutte le disposizioni in contrasto con la legge, in particolare l'articolo 10 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, come modificato dalla legge 23 dicembre 2000, n. 388.

 

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